La Croazia è una delle parti più facili di tutto il tracciato. Con lunghe pianure si arriva al terzo check point a Vukovar. L’unica difficoltà in questo territorio è la gestione dell’alimentazione perchè si attraversano zone molto remote e rurali in cui si rischia di non vedere nulla e nessuno per centiania di km per cui bisogna evitare di restare senza acqua e cibo.
Ripartito alla sera da Vukovar alla volta della Serbia finisco in una tempesta che mi farà avere veramente paura. Fulmini, tuoni, pioggia e vento il tutto nel NULLA…non una luce di un paese o di un lampione, tutto nero intorno a me…nemmeno un riparo se non un paese a circa 15 km, per cui decido di affrontare la tempesta per cercare riparo e cibo in questo paese. Questo è stato forse il momento peggiore di tutto il viaggio.
La Serbia viene attraversata in fretta per giungere nella bella ma severa Bosnia Herzegovina. Qui ripide e difficili salite portano a bellissimi altopiani dove pochi animali pascolano tranquilli…una vera alternanza di valli strette e amplissimi altopiani verdi.
I 500 km della Bosnia si sono rivelati molto impegnativi con circa 8.000 m di dislivello per arrivare ad uno degli spettacoli più belli di tutta la TCR…la baia di Kotor in Montenegro.
Per circa 100 km in Montenegro non si vede altro che rocce ed erba bruciata dal sole per poi buttarsi giù in discesa e vedere il mare infilarsi tra le montagne per andare a formare il fiordo più a sud di tutta l’Europa. Un paesaggio mozzafiato.
Dalla bellissima Kotor parte la lunga salita al Monte Lovecen, ultimo check point, che regala alla vista uno spettacolo emozionante.
Da qui in avanti inizierà a farsi sentire il terribile caldo di agosto con punte di 44° che metteranno a dura prova la permanenza in bicicletta e obbligandomi a soste forzate ad ogni stazione di servizio per poter avere acqua non bollente nelle borracce.
L’Albania si rivela un territorio in cui sembra il maggior interesse sia rivolto al lavaggio delle enormi auto (soprattutto tedesche) piuttosto che alla tantissima immondizia che si trova ovunque, lungo le strade, nei campi e lungo i fiumi.
L’attività commerciale principale infatti sembra proprio essere il “lavaz”, il lavaggio auto che va ad affiancare l’attività prevalente dalla Croazia fino alla turchia… la vendita di angurie e meloni lungo le strade.
Per arrivare in Grecia, attraverso la Macedonia, bisogna però affrontare le montagne albanesi rivelatesi durissime e impegnative. Per fortuna gli albanesi avevano sempre un sorriso ed un incitamento per noi ciclisti che eravamo visti come una rarità, come qualcosa di strano.
Come quando i nostri nonni andavano ai passaggi a livello per veder passare quegli strani mezzi di trasporto chiamati treni e a salutare i loro passeggeri.
Arrivato in Grecia mi danno subito il benvenuto 2 cani pastori che mi attaccano e mi costringono a fare uno sprint ai 40 km/h trasformandomi in un piccolo Cavendish.
Purtroppo d’ora in poi gli attacchi di cani randagi saranno sempre più soventi.
Dalla bella Grecia in cui si pedala in mezzo al profumo delle pesche o delle olive e in riva al mare, dove ho visto una delle più belle albe della mia vita, si giunge in Turchia in cui a farla da padrone, oltre al gran caldo, sono sicuramente il terribile traffico ed i pericolosi branchi di cani randagi.
Da subito si pedala su una un’autostrada con pochissimo traffico ed un’ampia corsia d’emergenza per le bici, ma man mano che ci si avvicina a Istanbul il traffico aumenta ed iniziano anche i lavori ed i cantieri lungo questa autostrada.
Iniziano anche i cambi di corsia per lavori che si hanno sulle nostre autostrade, il problema è che io sono su una bicicletta e dietro di me arrivano auto, pullman e TIR.
Più avanti, verso Silivri, scompare anche la corsia d’emergenza e ci si trova letteralmente schiacciati sul guardrail per poter schivare le auto.
Addirittura quando, attraverso il mio fantastico specchietto montato sul casco, vedevo arrivare qualcosa di “grosso” tipo pullman o camion mi spostavo in mezzo alla corsia per essere sicuro di essere visto. Meglio una strombazzata di clacson che un sorpasso troppo ravvicinato da parte di questi bestioni.
Lasciato il traffico autostradale ritrovo il mio amico Piero, pensare che l’ho visto il primo giorno e poi agli ultimi 50 km, dopo 4200 km, ha dell’incredibile…ma forse doveva proprio andare così, partiti insieme arrivati insieme ma il viaggio è un qualcosa di personale e quindi va fatto da soli.
Gli ultimi km sembrano pochi, Istanbul sembra ormai alle porte, ma non è così!
Chi ha concluso la TCR lo scorso anno ci aveva messo in guardia…”occhio che gli ultimi 100 km sono i più difficili, arrivateci freschi e lucidi…”.
Effettivamente la strada ha molto dislivello, con salite brevi ma molto ripide e man mano che ci si avvicina a Istanbul il traffico si intensifica…e qui il traffico è un qualcosa di impressionante!
Passiamo in paesini carichi di un’atmosfera “particolare”, dove all’imbrunire il richiamo del Muezzin diffuso ad alto volume dagli altoparlanti si fonde con l’ululato dei cani randagi…e vista la situazione io ho un pò di brividi.
La strada scorre lenta ma a Istanbul ci arriviamo di sicuro!
Purtroppo però finiremo in mezzo alla temuta foresta proprio nell’orario peggiore…con il buio delle 22…ma ora siamo noi il branco!
Sì perché sembra che questa fantomatica foresta sia infestata da branchi di cani randagi che, la sera, tendono ad attaccare i ciclisti…e noi quando ci passiamo? LA SERA!
Ci ricompattiamo per affrontare la foresta che inizia quando scompaiono le luci…d’un tratto sparisce il tentacolare traffico e spariscono i lampioni…e ci troviamo nella foresta.
Avanziamo come nella scena finale del film UCCELLI di Hitchcock…avete presente quando i protagonisti avanzano tra gli uccelli con la tensione palpabile del poter essere attaccati da un momento all’altro?
Quelli eravamo noi, o almeno lo ero io che tra tutti ero forse il più timoroso di questi cani, nonostante io adori i cani…ad ogni curva c’erano dai 5 ai 10 cani tutti di ragguardevole stazza che ci abbaiavano, ci studiavano, pronti a scattare al nostro minimo accenno di fuga…e quando ne parte uno di loro partono tutti.
Ma noi siamo saliti impassibili, come se non che ci fossero…non li guardavamo neppure per non illuminarmi con le luci montate sul casco.
Insomma…passiamo indenni la foresta!
Siamo fuori! Nemmeno un attacco!
Mi rilasso…ormai è FATTA!
Arriviamo sul Bosforo…ci separano solo più 10 km di strada lungo la costa.
Facciamo attenzione al traffico e dopo pochi minuti vediamo il mitico ponte che unisce l’Europa all’Asia, che di notte è illuminato da luci che cambiano continuamente colore…ed è uno SPETTACOLO!
Sì perché poche centinaia di metri dopo il ponte sappiamo esserci il tanto atteso ARRIVO della TRANSCONTINENTAL RACE.
Sembra quasi impossibile ma questa avventura volge al termine alle 23:30 (ora locale) dopo 15 giorni e 22 ore e 33 minuti.
Bellissimo è stato anche trovare tutti i ragazzi dell’organizzazione al traguardo ad attenderci festosi…e naturalmente…fiumi di birra per festeggiare!
Ragazzi che avventura incredibile, un insieme di emozioni devastante…da quelle bellissime di gioia, di meraviglia e di libertá e quelle legate alla paura dell’essere soli nella tempesta, alla solitudine, al terrore del traffico e dei branchi di cani randagi.
Ma tutto questo è la TCR…mai fatto nulla del genere prima…qualcosa di unico.
Il fatto che dei 175 ciclisti al via siamo arrivati circa in 80, meno della metà, vi fa capire la difficoltà della TRANSCONTINENTAL RACE.
Il gruppetto de “gli italiani” festeggiano dopo il traguardo
Questa l’attrezzatura utilizzata:
Bici: SALSA COLOSSAL STEEL
Borse: sottosella, framebag e da manubrio made in Italy by MISS GRAPE DESIGN
Mozzo: dinamo per freni a disco Shutter Precision
Luce: Bush&Muller Lumotec Luxos con uscita USB per caricare i vari device
GPS: GARMIN DAKOTA 20
Action camera: GARMIN VIRB